Suio, splendore di una nobile Contea
Questo secondo itinerario, già ospitato nella rivista “Il Golfo” nel 1976, che Cosmo Pontecorvo ha voluto proporre sul nostro sito, ripercorre la storia della Contea di Suio, paese arroccato ai confini del Lazio già Terra di Lavoro, che domina il corso del Garigliano.
Suio è oggi in Comune di Castelforte, ma un tempo era centro fiorente e patria di uomini colti che collaborarono alla corte di Federico II.
Per una sorta di attrazione fatale, così come si passa dai bagni di mare di Ponza a quelli caldi delle sorgenti sulfuree di Suio, allo stesso modo negli ultimi settanta anni, molti sono i legami che hanno stretto l’isola al paese, non ultimi i numerosi matrimoni tra i due centri.
Ci auguriamo che una proficua e sinergica collaborazione possa continuare e ampliarsi.
La Redazione
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L’etimologia di Suio deriva dal termine Vesuvjus, da cui, per afèresi della prima sillaba e della successiva vocale, sarebbe residuato Sujus.
Sostiene infatti Tito Livio, a proposito della battaglia, avvenuta tra i Romani e la Lega Campana rafforzata dalle città della Pentapoli aurunca, intorno al 340 a. C.: “pugnatum est haud procul radicibus montis (= Vulcano di Roccamonfina) qua via ad Veserim ferebat”. Il concetto, riportato dal Tommasino (1) interpreta per la prima volta il toponimo del Vesuvjus, come ubicato nella zona delle “Acquae Vescinae”, che sono proprio le terme di Suio.
Il preistorico Vesuvius è individuato, pertanto, nel Vulcano di Roccamonfina.
Alle Terme di Sujo si è avvicinarono spesso i patrizi romani. Si narra, appunto, del soggiorno che qui tennero Pompeo e Nerone, nonché altri notabili del vertice dell’Impero.
Tutta la complessa trattazione dell’agro vescino è stata altrove da noi esaminata, anche se evidentemente in maniera non del tutto definitiva (2).
Sulla individuazione del Montes Vescini, delle Acquae Vescinae, del Saltus Vescinus esiste tutta una interessante bibliografia, che ovviamente qui si deve solo indicare.
Della cosiddetta “vasca di Nerone” si sa che essa probabilmente è la medesima che fu trasportata a Montecassino. Non sappiamo se è scampata alla furia della guerra.
Nel 1877, in occasione della costruzione dello stabilimento iniziato dal Giuseppe Duratorre, furono trovate vestigia di terme romane, con tanto di “tepidarium”, “calidarium” e di “frigidarium”.
Le tracce hanno fatto individuare testimonianze dell’epoca del I secolo dell’Impero. Altri elementi di terme romane sono stati scoperti più recentemente alle Terme Caracciolo – Forte.
L’epigrafe, scritta su una lastra di marmo, trovata presso le Terme Duratorre, così suonava ricostruita: “(pro) salute et victoria et reditu(s) dominorum no(strorum) Aug(ustorum) Antonini et Getae invictissimorum et Juliae matri Augustor(um) et castr(orum), genio Aquarum Vescinarum Antonius et Eugenes servi dispensatores posuerunt”.
Insieme fu repertato un putto di tipo ellenistico che ci dà la possibilità di rifarci al periodo intercorrente dalla morte di Settimio Severo e l’assassinio di Geta (anni 211-221 d.C.) (3).
Alle vicende del disfacimento dell’Impero romano l’Occidente il quadro della civiltà autoctona rimane ovviamente turbato. Ed anche le Terme romane di Sujo cadono nell’oblio.
Il primo documento del Codex Diplomaticus Cajetanus che ci parla di Sujum, Sujo, de Sujo, castrum, è il testamento di Docibile II, duca di Gaeta, che porta la data del 954 (mense Majii, indictione duodecima, Caietae).
Tra i beni descritti si legge “iuxta ipsa caldana cum campis, silbis omnia, et in omnibus, sit de dicte quinque filie mee femine”.
Dell’anno 1040 si trova una donazione, fatta a favore del Monastero di Montecassino, di metà del Castello di Sujo, castello che possedeva il conte Ugo, figlio di Docibile, detto di Donna Polissena (4).
Ma già in precedenza, nell’anno 1023, “Mense januario, indictione sexta, Cajetae” il Conte Ugo, figlio del Magnifico Docibile, aveva fatto una donazione a favore di Teobaldo, abate di Montecassino, di metà del castello di Sujo.
Da un altro atto del 1042 (5) sappiamo che Rainerio, conte di Suio, ebbe a donare ai propri cognati Marino e Gregorio, un molino, denominato “mola majore”.
Il vescovo Bernardo, nell’anno 1047, si sa che dette in enfiteusi ai fratelli Giovanni e Pietro, figli di Donnella, del Castello di Sujo, una “curtem”, ubicata nel luogo, detto “Corsano”.
I Conti di Sujo li troviamo nel secolo undicesimo (anno 1064). Essi derivano dalla famiglia “da Gaeta”, la cui unità si frantumò. Rami secondari furono investiti quali duchi di Fondi, di Traetto, nonché anche quali conti di Castro Argento e di Sujo, ed infine di varie “castella” minori.
Da questo nucleo ebbe origine la famiglia “di Gaeta”, che si trasferì nel secolo XII da Gaeta a Napoli, ove si urbanizzò, prosperando.
Da un’enfiteusi dell’anno 1047 si sa che il vescovo Bernardo concesse un fondo denominato “Corsanu”, per ventinove anni, ai fratelli Giovanni e Pietro, figli di Donnella, come già indicato, “ad re meliorandum”.
Nella seconda parte del Codex Diplomaticus Cajetanus si leggono numerosi riferimenti a Sugii, vallis, Suggii, nonché a Suji comites, a Suji comitati.
Da un “patto” dell’anno 1062, sottoscritto dal conte di Traietto, di Maranola, di Sujo con la città di Gaeta si realizza l’impegno a non trattare coi Normanni.
La completa genealogia dei conti di Sujo si trova in un atto del 1064 (?), che ci specifica come essi siano derivati dalla famiglia del Conte Leone II e del fratello Leone. Il capostipite è Docibile “Magnificus de Donna Polissena”. Dopo di lui troviamo i due suoi figli Leone II (che sposa Teodora) ed Ugo, di cui non si conosce il nome e l’esistenza della moglie.
Da Leone II e Teodora nascono Rainerio, Leone, vescovo, Docibile, Pietro. Da Ugo nasce Giovanni, convolato a nozze con Sikelgrima. Rainerio sposa Mira e dalla loro unione nasce Rainerio, a loro volta. Da Docibile e la di lui moglie nascono Leone Pizzicademone (sposa Aloara), Landolfo (sposa Donnella) Pietro e Giovanni. Figli di Leone Pizzicademone sono, per ultimi, Atenolfo e Docibile.
Notaio e consigliere famoso di Federico II fu il notissimo Tommaso da Suio.
Nel 1078 un atto del principe Giordano di Capua confermò la giurisdizione del “castrum Sugii” come spettante al Monastero di Montecassino. Due anni dopo (1080) sarà Giovanni, insieme alla moglie Sikelgrima, a donare metà del Castello di Sujo all’abate di Montecassino, Desiderio. L’altra parte, di Rainerio, fu offerta al duca Giordano.
Cosicché esso per intero passò, quindi, sotto la giurisdizione del cenobio. Sarà succevvivamente l’abate Desiderio (1079) a confermare, per effetto della donazione di Giordano, o “privilegi”, tra i quali si leggono il “terratico ereditario e tutte le fattispecie che avevano potuto acquistare”.
Fu, nel contempo, concesso il diritto di far leggi e venne esclusa la nomina di un giudice o vicecorte forestieri.
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- G. Tommasino, Aurunci Patres, Gubbio, 1942, p. 158.
- Cosmo Pontecorvo, Dove stavano Vescia ed Ausonia? Gazzetta di Gaeta, Gaeta, 1975, pp.127-128. Per la bibliografia al riguardo si rinvia al detto lavoro.
- Angelo de Santis, Le acque di Sujo dall’epoca romana ad oggi, Atti del Convegno di Sujo, Roma, 1966, pp.27-53.
- Codex Diplomaticus Cajetanus, Cassino, 1969, p. 97 e passim. Anche per gli altri volumi.
- Idem, I, 349-51.
Cosmo Pontecorvo
fonte
https://www.ponzaracconta.it/2014/04/01/suio-splendore-di-una-nobile-contea-1/