Thiébault di Erminio De Biase
Ad esaurire la presentazione di questo libro, basterebbero solamente i nomi del prefatore, Massimo Viglione, una vera sutorità sull’argomento “vandeano” e Giuseppe Gangemi che, con le sue ricerche e documentatissime pubblicazioni illustra pienamente l’argomento “1799”: due nomi per i quali nullum par elogium…
Per evitare, quindi, il rischio di un’inevitabile, consequenziale sovrapposizione di agomentazioni, mi soffermerò su aspetti, diciamo così, caratteriali, psicologici, di coloro che nel 1799 ci invasero.
Ho già avuto modo di parlare delle misconosciute “tre giornate di Napoli” che causarono la morte di migliaia di nostri conterranei accorsi a difendere la loro Patria dall’invasione dei “cugini” transalpini; è bene – però – ricordare sempre di cosa siano capaci i francesi in guerra. Essi hanno una poco invidiabile tradizione di misfatti, a partire dalla calata di Carlo VIII nel 1495, alle invasioni del 1799 e del 1805, alle violenze ad agli stupri commessi nel 1944 in Alta Terrra di Lavoro e all’isola d’Elba. Per non parlare, poi del loro sfruttamento coloniale, dell’Algeria, della regia occulta della cosidddetta Primavera araba e dei sospetti che gravano su di loro sull’abbattimento dell’aereo Itavia nel cielo di Ustica, nel 1984.
Sfogliando le pagine del libro di Thiébault ci si imbatte in molte esternazioni dell’autore tipiche della innata grandeur di francesi che, inevitabilmente, sfociano poi nello sciovinismo. In ogni pagina emerge la loro presunta, arrogante, superiorità anche quando, in apparenza, esprimono parole di lode per gli altri. Per cui:
non a caso, Ferdinando IV viene definito “il più misero dei sovrani” nonché perfido aggressore;
l’onore delle armi che si riconosce ai Napoletani che si sono battuti con valore è per l’autore un “disonorevole onore”;
secondo lui, chi è rimasto fedele al Re è colpevole di “fanático patriottismo”;
i francesi erano venuti a liberare una città infestata (usa proprio questo termine) da napoletani ostili in modo fanatico, che definisce Lazzari “esagitati”, “esaltati”, “forsennati”, autori di “massacri sanguinosi” e con i quali Championnet – addirittura – si “abbassa” a trattare… [scritto da uno straniero, nemico, questo si potrebbe amche capire, ma Il bello o, meglio, il brutto è che, ancora oggi, qualche tronfio giacobino nostrano con una ineguagliabile faccia di… bronzo fa – spudoratamente – un distinguo tra la plebe francese e quella napoletana, affermando che la prima era motivata, mentre la nostra non lo era! Ovviamente, questo borioso rappresentante del giacobinismo locale non seppe rispondere ad una mia specifica richiesta di chiarimento alla sua farneticante affermazione e, in seguito, si è guardato bene dall’accettare inviti a dibattiti in cui sarebbe palesemente zittito];
Passiamo, poi, all’autoesaltazione che, in più di un’occasione, Thiébault non può fare a meno di sfoggiare:
non esita a definirsi, un personaggio di alto rango… che esercita un potere inmenso su vasti territori... (p. 197);
si vanta di essere stato il primo generale francese a entrare in città le cui azioni sono state indispensabili per la presa di Napoli… (p. 217);
afferma (p. 154) che la sua promozione non era immeritata… ;
e poi, prima di tornarsene in Francia, lui (Novello Plinio…) avverte il bisogno di salire sul cratere del Vesuvio dove, appena giunto, vi salta dentro e si esibisce sparando colpi di pistola ripetuti mille volte dall’eco. Ovviamente, tutti gli fanno i complimenti che, però, lui con finta modestia, usata solo per garantirsi un effetto contrario, ritiene immeritati perché ci fa sapere che la sua agilità era un dono di natura (p. 149).
Solo su un punto del suo racconto può avere ragione: quando riflette sul fatto (a p. 144) che i capi di un esercito ostile fossero oggetto di omaggi e gentilezze da chi fino a poco prima era nemico, un’analogia con l’atteggiamento di molti napoletani che, nel 1944, ebbero verso i “liberatori” che entrarono in città, dimentichi delle macerie e dello sfacelo che le loro bombe avevano provocato…
C’è nel libro, anche un interessante richiamo “storico” alla Napoletanità che credo di aver trovato. Leggendo la descrizione dell’uniforme di Michele ‘o pazzo, composta da giacca da caccia con pantaloni di panno verde e gilet scarlatto, il tutto con galloni argentati, stivali, tricorno ricamato con pennacchio, una grossa sciabola appesa a un cinturone molto largo, rosso con ricami argentati, colletto nero e spalline da colonnello, ho immediatamente rivisto, come in una vecchia fotografia, un tipico personaggio che, fino alla metà degli anni ‘60 del secolo scorso, si vedeva sovente nelle strade di Napoli: ‘o Pazzariello, per l’appunto,che, addobbato proprio come sopra descritto, girava per le vie di ogni quartiere, pubblicizzando gli ultimi arrivi (in particolare eno-gastronomici) ad un negozio della zona. Come Michele i suoi modi erano scalmanati e, in pratica, sapeva tutto quello che accadeva… E poi, l’aggettivo di uno che è diventato il nome dell’altro… fanno credere che costui abbia dato vita ad tipico un personaggio napoletano.
Infine, anche se l’autore afferma che niente può sostituire i ricordi di un testimone oculare dei fatti (p. 141) gli sfugge il particolare che ognuno ricorda e/o dimentica quello che gli fa più comodo.. In genere, chi sente il bisogno di raccontare le proprie memorie su avvenimenti di particolare rilevanza storica a cui ha partecipato, lo fa per crearsi uno schermo, uno scudo, un alibi alle proprie ambiguità e, probabilmente, per liberarsi la coscienza da eventuali colpe. Lo capii anni fa, quando tradussi dal Tedesco le Memorie di Zimmermann. E Thiébault non è da meno: infatti, nella foga di richiamare all’attenzione del lettore che, entrando in Napoli, i francesi portavano libertà e benessere gratis, omette di parlare delle rapine e dei furti che attuarono (poco prima di andarsene, grattarono perfino l’oro dalla statua dell’Immacolata che sovrasta l’obelisco di Piazza del Gesù…).
Ma la sua più grave dimenticanza è soprattutto quella di non citare neppure una volta Colui che diede filo da torcere a lui ed ai suoi connazionali e che non poteva non conoscere: non una sola parola su Chi, col suo eroismo, con la sua generosa dedizione al Regno fece vedere i cosiddetti sorci verdi ai suoi commilitoni, suonandogliele, in più di un’occasione, di santa ragione: parlo del nostro eroe per antonomasia, parlo di Michele Pezza, parlo di Fra Diavolo!
Erminio de Biase
intervento al convegno del 13 luglio come di seguito riportiamo