Tulisiom-Telesia I parte
Tulisiom era il nome sannita di Telesia, l’odierna Telese Terme. E che quello fosse proprio il nome ce lo dice una moneta trovata negli scavi di Telesia che riporta quella scritta in osco (la lingua parlata all’epoca dai telesini).
Nel IV secolo avanti Cristo di certo esisteva già e doveva essere anche un importante centro non fosse altro per aver dato i natali al leggendario Caio Ponzio Telesino e a suo padre Erennio. Tra le poche cose che ci hanno fatto studiare a scuola della storia e della civiltà sannita, tutti ricordiamo l’episodio delle Forche Caudine, avvenuto nel 321, durante la seconda guerra sannitica.
Era già da tempo che Sanniti e Romani si scontravano per il predominio della Campania, una prima guerra, durata un paio d’anni anni, si era conclusa con una sorta di tregua che in realtà era una sostanziale sconfitta sannita. Nella seconda guerra, durata oltre 20 anni, vi fu l’episodio noto delle Forche. Attratti con uno stratagemma in una gola, la trovarono ostruita “da una barriera di tronchi e massi” (Livio). Intrappolati, i Romani, si arrendono quasi senza combattere. Ora i sanniti stessi non sapevano cosa fare di tanti prigionieri e l’enbratur (generale supremo) Caio Ponzio Telesino chiese consiglio all’anziano padre Erennio. Lo mandò a prendere a Telese con un carro per farsi raggiugere sul luogo della battaglia. L’anziano saggio suggerì due possibilità: o lasciarli liberi tutti, sperando nella riconoscenza romana, o ucciderli tutti così da avere meno nemici negli gli anni successivi. Il giovane Ponzio non ascoltò il consiglio del padre e volle umiliarli facendoli passare sotto il giogo delle forche prima di mandarli a casa, ricevendo così l’eterno astio dei romani che si rifecero abbondantemente in quella come nella successiva terza guerra sannitica. Astio e avversione che durarono poi, come vedremo, almeno per altri due secoli e mezzo.
Infatti, la prima e più importante vittima di quella ostilità fu lo stesso Caio Ponzio che, alla fine della III guerra, venne catturato e trascinato in catene a Roma dove venne brutalmente decapitato nel 290 a. C.
Erennio Ponzio Telesino era quello che oggi definiremo un colto ed un letterato. Di nobile famiglia, viene ricordato persino da Cicerone che, nel De senectude, racconta di una dotta conversazione tra lui e il filosofo Archita, a cui partecipò anche Platone. L’altissimo valore delle frequentazioni del nobile telesino depone, quindi, per un elevato livello culturale raggiunto da alcuni sanniti, almeno dalle élite, molto lontano dal modello che la storiografia del vincitore romano, a cominciare dallo stesso Livio, riservava ai popoli sanniti per motivi più che altro propagandistici, quello di gente “rozza ed incolta”, “ladrones”.
Tra sanniti e romani, in verità, non era mai corso buon sangue. I romani odiavano i sanniti, soprattutto perché li temevano, abbondantemente ricambiati. Opices (osco), quindi sannita, era per i romani sinonimo di cafone, zotico. Il peggior insulto, da lavare con il sangue, che un romano potesse pronunciare contro un nemico era “sporco sannita”.
Ma i sanniti non erano affatto così rozzi. Altra prova inconfutabile che avevano raggiunto un notevole grado di civiltà è il ritrovamento negli scavi di Saticula e Caudium (Sant’Agata dei Goti e Montesarchio) di quello che è stato definito il vaso più bello del Mondo: il vaso di Assteas. Un ceramista magnogreco di Paestum che nel IV secolo a. C. andava per la maggiore ed era tra i migliori sulla piazza insieme a Python e, soprattutto, a Psiax ricordato, quest’ultimo, come il più grande maestro della tecnica a figure nere esistente in Grecia. E’ evidente che non poteva essere così incivile un popolo che aveva la sensibilità, il gusto e la disponibilità economica di commissionare ai migliori artisti dell’epoca delle pregevoli e costose opere d’arte solo per adornare le loro tombe.
Dopo le guerre sannitiche Tulisiom, pur sotto l’influenza romana, continuò a fiorire. Posta al confine tra il territorio dei Pentri e il dominio dei Caudini, era, sia strategicamente che come estensione e popolazione, una delle città più importanti del Sannio.
Ricordiamo che gli antichi sanniti erano divisi in quattro grandi tribù tra loro confederate: i Caudini, nell’odierna valle Caudina, che prendevano il loro nome dall’importante centro di Caudium; i Pentri cioè “uomini delle montagne” che abitavano la parte matesina e molisana; i Carrecini o uomini roccia, che occupavano la parte abruzzese e gli Irpini, da Hirpos (lupo in osco), che risiedevano nel territorio delle attuali Benevento e Avellino.
La sua centralità indusse Annibale, nel 217, ad occupare Tulisiom ritenuta di fondamentale importanza nella sua strategia di conquistare le città della Campania per accerchiare Roma, dopo che con una delle sue traversate spericolate era riuscito, attraverso le gole di Monterbano, a sbucare nel Sannio. I telesini allora erano costretti a combattere con i romani, ma quando Annibale dopo Canne ritornò a Tulisiom i suoi abitanti, in ricordo dell’antico odio verso i figli della Lupa, si schierano apertamente per il cartaginese. Anche quella volta, però, le sorti della guerra arrisero ai romani che con Fabio Massimo il Temporeggiatore occuparono e devastarono la città riportandola, dopo due anni di presenza cartaginese, sotto la tutela di Roma.
I telesini in quell’epoca non parlavano latino ma ancora utilizzavano la loro lingua originaria: l’osco.
L’osco, al pari del latino, era una lingua di origine indoeuropea parlata da molti popoli italici, cugina del latino e abbastanza simile ad esso per grammatica ne differiva molto nel suono. Insomma, l’osco poteva stare al latino, solo per intenderci, come il tedesco sta all’inglese.
L’alfabeto aveva 21 lettere, non aveva maiuscole e si leggeva da destra verso sinistra. Tutti i sanniti parlarono osco fino al primo secolo a. C. quando, dopo un breve periodo di bilinguismo osco- latino, fu soppiantato completamente dalla lingua di Cicerone anche perché da quel periodo in poi i romani introdussero, nei loro domini, l’obbligatorietà per tutti dello studio del latino.
Tracce di osco permangono in molti dialetti meridionali come il termine piuze (il bastone corto del gioco della lippa), piscon’ (grosso sasso), tata (padre); cupa (fosso, cavità) e varie altre.
Intanto passarono più di 120 anni e l’animosità dei sanniti e dei telesini verso i romani non si era placata. Anche se i Caudini, ormai romanizzati, non parteciparono alla Guerra Sociale (90-88 a. C.), che scoppiò a causa delle rivendicazioni dei popoli italici per ottenere la cittadinanza romana e per costituire uno stato confederale da sostituire a quello centrale romano, né entrarono nella Lega Italica che queste popolazioni avevano costituito (comandata da un altro sannita, Caio Papio Mutilo).
Come pure non partecipò Benevento, già colonia romana dal 268 a. C., alla quale i romani avevano addirittura cambiato nome, dopo la vittoria su Pirro avvenuta pochi anni prima, da Maleventum nella beneagurante Beneventum. Invece il generale telesino Caio Ponzio, omonimo e forse discendente dell’altro e più noto Caio Ponzio delle Forche Caudine, partecipò attivamente come generale.
E quando la guerra vide soccombere i popoli italici della Lega, Caio Ponzio (“uomo fortissimo in pace ed in guerra, animato da odio mortale verso i romani…”) si ritirò sulle montagne del suo Sannio aspettando l’occasione giusta per rifarsi.
Occasione che arrivò pochi anni dopo con la Guerra Civile (83-82 a. C.) tra i popolari di Mario (e poi di suo figlio, Mario il Giovane) e gli aristocratici di Silla. I sanniti ed i lucani, si schierano dalla parte di Mario e stavolta il comando supremo delle truppe viene affidato proprio a Caio Ponzio Telesino.
Abile stratega, il Telesino ideò una mossa a sorpresa molto audace. Mentre Silla assedia Praeneste difesa dal fratello minore Tullio Ponzio Telesino (un altro grande condottiero telesino), Caio Ponzio alla testa di 70.000 fanti e 7.000 cavalieri sanniti marciò alla volta di Roma. “Mai saranno annientati i lupi che hanno divorato l’italica libertà, se non saranno stanati dal covo dove si rifugiano”. Durò due giorni consecutivi la battaglia intorno a Porta Collina di Roma finché, dopo alterni capovolgimenti di fronte, i romani grazie al tempestivo intervento di Crasso alleato di Silla, ebbero ancora una volta la meglio. Caio Ponzio fu ucciso in battaglia e le migliaia di sanniti fatti prigionieri furono tutti sgozzati all’interno delle mura di Roma.
Da lì iniziò la fine dei Sanniti. Dopo Porta Collina, Silla, che temeva la loro forza e li odiava allo stremo, operò verso di essi una vera e propria pulizia etnica. Li uccise, li deportò e mandò i suoi a stanarli, per trucidarli, uno ad uno dalle loro montagne. “Fece del Sannio il deserto chiamandola pace” (E. T. Salmon).
Ironia del destino, la figlia di Silla, Giulia Cornelia, sposò un sannita. Dopo la morte del padre.
I sanniti praticamente scomparvero. Da allora non si ricordano personaggi di rilievo in politica o nell’esercito tranne il sannita Ponzio Pilato, governatore della Giudea dal 30 al 36 d. C.
La vendetta di Silla si abbattette anche sulle città del Sannio e ovviamente su Tulisiom. Ma, in considerazione della sua importanza strategica, non la distrusse dalle fondamenta come altre città sannite, anzi dall’epoca sillana, l’oramai città romana di Telesia, rivive un nuovo splendore. A quel tempo, infatti, risalgono la costruzione delle mura e delle infrastrutture tipiche di ogni ricca ed opulenta città romana come le terme, il teatro e l’anfiteatro i cui ruderi sono ancora oggi visibili.
Fine I parte
Antonello Santagata