Un castello-corona per Monte Trocchio di Maurizio Zambardi
Superato il valico di Colle Altare, una sella tra Monte Rotondo e Monte Lungo, la Casilina — l’antico asse viario che collega Capua (l’antica Casilinum) a Roma — punta dritto verso Cassino, ma, a un certo punto, è costretta a deviare il percorso a causa del Monte Trocchio che ne sbarra con la sua mole l’allineamento. Qui l’importante arteria stradale, per aggirare l’ostacolo, è costretta a serpeggiare ai piedi del monte per poi puntare di nuovo dritto alla città posta all’ombra di quel monastero che è stato per secoli il faro della cultura occidentale: l’Abbazia di Montecassino.
Ed è proprio in corrispondenza delle prime curve che appaiono ben visibili, in cima alla brulla collina, i ruderi di un antico maniero, le cui poche merlature rimaste riportano alla mente una vecchia corona che, pur se segnata dal tempo e dalle guerre, cinge ancora la testa di un vecchio, ma fiero sovrano.
Arroccato sull’estrema propaggine settentrionale di Monte Trocchio, alla sommità di impressionanti strapiombi naturali, che confermano la sua antica funzione di difesa, il castello, posto a 410 metri di altitudine, sembra un prolungamento naturale della roccia stessa. Il profilo allungato del monte ricorda il dorso di una gigantesca balena che affiora di poco, nel suo cavalcare placido, da un verde mare. Dalla cima del monte si può godere uno scenario magnifico, lo sguardo abbraccia a tutto tondo la valle del Peccia e del Liri.
A pochi chilometri di distanza un suo gemello più piccolo: Monte Porchio, sito nel territorio di San Vittore del Lazio, gli fa compagnia. Ci troviamo qui nell’estremo lembo del Lazio Meridionale, a confine con la Campania.
Torocclus, questo è il nome più antico che ci è pervenuto del monte, oggi è situato nel comune di Cervaro. Le fonti ci tramandano che nell’883, due anni dopo la distruzione dell’Abbazia di San Vincenzo al Volturno, anche l’Abbazia di Montecassino fu messa a ferro e fuoco dai Saraceni. I monaci cassinesi cercarono scampo rifugiandosi a Capua. E fu proprio in questo periodo che si trova citato per la prima volta il nome del Monte Trocchio. Approfittando dell’abbandono e dell’assenza dei monaci di Montecassino, i Conti di Teano invasero la terra di San Benedetto. Dall’XI secolo in poi molteplici sono le varianti che si trovano del toponimo “Torocclus”. Nei vari diplomi e privilegi concessi dai papi e imperatori si hanno oltre una decina di termini simili che riconducono tutti all’idea di torre. Una torre quindi doveva essere il primo insediamento posto sul monte a guardia e difesa del territorio, e non va esclusa l’ipotesi di una torre di epoca romana, vista la vicinanza con la Via Latina che lambiva le pendici meridionali del monte. Oggi, nell’area fortificata, sono ancora ben visibili le mura di una grossa torre quadrata che domina tutta l’area del castello. Intorno alla torre dovette in seguito svilupparsi il castrum, citato per la prima volta, col termine “turruculum” in un diploma del papa Vittore II nell’anno 1057.
Anche Federico II di Svevia, nel suo assetto amministrativo, si prese attenta cura del castello di Trocchio. Infatti ai suoi “homines” impose il dovere di provvedere alla difesa di Rocca Janula, un’altra fortezza posta alle pendici di Montecassino e il castello di Trocchio aveva il compito di sentinella avanzata di Montecassino verso sud.
Per arrivare in cima al castello si può percorrere un antico sentiero che passa per il paese di Villa Santa Lucia, posto alle pendici meridionali dell’altura, e attraversa in senso longitudinale tutto il monte.
L’ingresso al castello avveniva da un’unica porta, disposta in testa ad una rampa, avente le stesse caratteristiche di una porta scea. Gli eventuali invasori dovevano sottostare al lancio di olio bollente, frecce, pietre e quant’altro si aveva a disposizione per la difesa del castello. Superata la porta e dopo una piccola area non occupata da costruzioni si trova la torre, contenente una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana. Nelle sue vicinanze si trovano poi i resti della chiesa di San Nicola, la cui pianta è di forma grosso modo rettangolare e al cui interno è posizionata una cripta.
Lungo il curvo muro di cinta, in alcuni tratti munito ancora di “apparenti merli”, perchè in realtà sono resti di finestre di difesa, si notano una serie di muri che dovevano delimitare degli ambienti, probabilmente utilizzati come magazzini o stalle. Inoltre affiorano dall’erba alta i ruderi di quelle che dovevano essere le abitazioni. Si ha menzione, infatti, che nel 1288 nel castrum vivevano dieci famiglie. Le abitazioni, composte da uno o più ambienti, digradavano seguendo il profilo del monte ed erano a uno o a due piani.
Più a valle sul lato est del monte, a quota 100 metri circa, vi è poi l’antica chiesetta di Santa Maria di Trocchio, ora allo stato di rudere, che si può raggiungere facilmente con la macchina grazie ad una strada di recente costruzione. Della chiesa si riconoscono ancora un ambiente rettangolare con abside, un piccolo vano laterale, usato forse come sacrestia, e una torre campanaria posta sulla facciata principale, a ridosso dell’ingresso.
Per gli amanti della natura e dell’archeologia è un’escursione da non perdere, specie per chi è motivato dalla ricerca di pezzi di storia ancora non contaminati dal cemento e dall’asfalto.